C’era una volta nella bottega di un robivecchi una montagna di giocattoli ammassati, tutti giunti lì bottino di mille e più svuotature di cantine e solai, storie di chi fanciullo non era più. Il robivecchi era una persona molto anziana e lasciava sempre aperto il portoncino d’accesso al deposito dei giocattoli abbandonati, quelli che dopo aver dato gioia ai bambini agli adulti non servivano più. Lia, era una bambina, di quelle bambine lì, piccoletta e curiosa, capricciosa di conoscere e timorosa di sapere, che però metteva il naso ovunque, toccava tutto, e se alle volte cadeva dalla bici e si sbucciava un ginocchio andava dicendo a se stessa con le goccine di sangue ancor vivo “non è successo niente, non è successo niente” e magari con qualche goccia di lacrima spenta dava sollievo alle ferite.
Un giorno Lia, come sempre accade nelle favole, passò davanti alla porta aperta del robivecchi e si intrufolò senza pensarci un attimo soltanto. Si ritrovò davanti alla montagna di giocattoli, lei che di giocattoli ne aveva ben pochi perché non le piaceva dover star dietro a troppe cose, e quel che aveva sempre con sè era un gatto di pezza che stringeva forte quando aveva paura e quando era felice.
Lia, si guardò un attimo intorno e poi senza curarsene troppo, iniziò a tirar fuori dalla montagna un giocattolo per volta. Per prima cosa prese in mano una Principessa di porcellana, che non aveva un occhio ma dei bei capelli, che anche se duri e ispidi le sembravan belli. Da un altro punto dell’ammasso si sporgeva un trenino, che lei i treni li vedeva sempre andare e partire, perché quando scappava di casa andava in stazione e pensava di prenderne uno e andare. Aveva pure tentato una volta, ma il capotreno l’aveva beccata subito e fatta scendere. Ma lei i treni li conosceva, e li conosceva bene. “Ciuff ciuff, dove mi porti treno che vai? Ciuff ciuff, voglio conoscere il mondo, portami con te”
Giocava Lia, ora con un serie di mattoncini con cui costruiva castelli tutti d’un piano, ora con uno xilofono che le ricordava un piano, giocava con ogni cosa la montagna di giocattoli avesse, pure con un Drago, che però le faceva un pò paura e non le stava poi mica tanto simpatico.
Non aveva ancora notato un Principe, un Principe di latta, ammaccato d’un fianco e sporco in testa, ma dal viso rassicurante e dallo sguardo sincero. Lo studiò attentamente, perché lei ai Principi e alle Principesse non ci credeva più da quando perse la coroncina del vestito di carnevale, anche se quel Principe la guardava in modo diverso. Lo ripose lì di fianco e pensò che forse il Drago avrebbe mangiato il Principe se avessero combattuto. In effetti il Drago guardava male il Principe, con lo sguardo di sfida e di famelica cattiveria e Lia aveva notato che il Principe non aveva una spada, e forse non l’aveva mai avuta, e aveva paura di come potesse proteggersi dal Drago. Allora Lia ispezionò lo Sputafuoco controllandone i denti per capire se potesse far male e notò in gola di questo mostro una chiave, e piano piano poco per volta la tirò fuori da lì. Era una chiave davvero, ma tanto piccina che non avrebbe aperto porte di certo, e iniziò a domandarsi a cosa servisse. Riprese il Principe in mano e lo rassicurò dicendogli che il Drago non l’avrebbe mai più morso, e guardandolo meglio notò un foro sul petto, quasi una serratura e Lia, che vispa lo era davvero, con l’istinto della curiosità provò a inserire la chiave nel foro sul petto del Principe. Entrava esattamente e senza sforzo, e allora Lia con sorriso briccone diede un giro alla chiave ma parve non accadesse nulla. “Sarà rotto, non me ne faccio nulla di un Principe triste e per di più rotto”esclamò, e così mise il Principe vicino al gatto di pezza e continuò a rovistare.
D’un tratto Lia, mentre giocava con dei pesciolini di vetro colorato, sentì una mano toccarle il fianco e lei vibrò, non di paura ma per il solletico che soffriva tanto. “Grazie” disse una voce di bambino alle sue spalle. Lia si voltò e trovò dietro di sé un bimbo piccoletto vestito da Principe, che l’abbracciò senza pensarci troppo. Lia non capì subito, ma quando il bambino la lasciò vide che il Principe di latta non c’era più. “Mi hai liberato dall’incantesimo che mi aveva reso pupazzo di latta, adesso son di nuovo vivo e felice di poter correre ancora sulle mie gambe”. Lia lo guardò affatto sorpresa, prese una palla di pezza dalla montagna di giocattoli, la lanciò forte in faccia al Principe bambino, e ridendo di gusto gli disse “Beh, e adesso che sei qua, ti va di giocare?”